lunedì 30 dicembre 2013

La biodiversità. Ma ci serve? 3a parte: la patata

Un ultimo esempio sulla biodiversità: la patata.

Certo non è una delle più fedeli compagne delle nostre escursioni, ma la sua storia ci può insegnare molto.


Il tubero proviene dal Perù dove viene coltivato in moltissime varietà. Cresce in condizioni estreme, a volte un certo tipo di pianta prospera solo a certe altitudini, ma basta che ci si sposti in alto o in basso di un centinaio di metri che la stessa pianta perisce. I contadini peruviani lasciano crescere attorno ai loro campi patate selvatiche di mille tipi, per favorire lo scambio genetico e fomentare la biodiversità.

Varietà di patate
Patate patate patate

In Europa tardò a diffondersi per pregiudizi e timori ma nella povera Irlanda non andarono molto per il sottile e l’accettarono presto.
Grazie ad un suo uso massiccio riuscirono a sfamarsi e a realizzare una grande crescita demografica. Ma la patata, ripiantata e ripiantata continuamente era esposta agli stessi rischi di mele e banane  che abbiamo visto nei precedenti post. Non vi era traccia di diversificazione.

A metà Ottocento successe l’inevitabile, arrivò un parassita (il fungo peronospora) che distrusse tutte le patate irlandesi lasciando la popolazione affamata nel giro di pochissimo tempo.

The Great Hunger

Milioni di irlandesi morirono, milioni emigrarono (tra cui la famiglia Kennedy) e solo recuperando nuovi tipi di patate selvatiche dal Perù si è potuto recuperare lentamente le piantagioni.

Naturalmente anche per le patate si abbonda con trattamenti di pesticidi, già da prima di seminare per preparare il terreno, e poi per tutta la durata della crescita, con costi esorbitanti ed inquinamento pazzesco.

Una nuova soluzione moderna è l’introduzione dei discussi OGM.

Una delle più grandi e note compagnie multinazionali ha brevettato una pianta di patate contenente un gene capace di combattere i parassiti.
Tecnicamente la pianta è sinistramente classificata come un pesticida…

Il problema di questo OGM è però sempre lo stesso: se i contadini piantassero tutti questa varietà i parassiti sarebbero sottoposti ad una pressione selettiva fortissima.
In breve tempo si spingerebbe la selezione di un parassita capace di resistere e si sarebbe punto e accapo.
E infatti, distrattamente inserito nelle raccomandazioni per i piantatori della pianta OGM, si consiglia di lasciar crescere attorno al campo delle piante di patate “normali”, per abbassare la pressione selettiva sui parassiti e far durare di più l'effetto pesticida della pianta modificata geneticamente.

Per concludere con una risata, date una occhiata al simpatico racconto di Achille Campanile su Volta e la Patata

3. continua

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domenica 29 dicembre 2013

Le piante ed il Tatto.

Ancora una nuova serie di osservazioni sulle piante.
Il tatto.

Una mano che passa le dita tra i propri capelli (per chi ce l’ha) è una esperienza estremamente rilassante.
Passare la mano tra le foglie procura alle piante lo stesso piacere?
Vediamo un po’.


L’uomo possiede distribuiti non uniformemente dei sensori che riportano indicazioni sulla temperatura e sulla consistenza degli oggetti toccati. (I sensori del dolore sono diversi). Questi sensori inviano al cervello degli impulsi elettrici che generano le percezioni.

Ma cosa accade alle piante?


Possiamo prendere come esempio la Venus Acchiappamosche (Dionaea muscipula) pianta carnivora per antonomasia. Quando vengono opportunamente stimolati dei peletti, la pianta fa scattare la morsa e la preda rimane intrappolata senza via di scampo.

Dionaea muscipula
La chiusura non avviene sempre. Affinché possa avvenire, l’ospite potenziale spuntino deve toccare almeno due peletti e tra un tocco e l’altro non devono passare più di venti secondi.
In questo modo la pianta si chiude solo con delle prede che abbiano una certa dimensione, evita di serrare le fauci su prede inutili, sprecando energia e opportunità.

Non solo, ma la pianta in qualche maniera memorizza l’informazione, e aspetta proprio i venti secondi.
Queste piante hanno sempre spiazzato gli uomini che mettevano le piante un gradino sotto gli animali, perché sono in grado di catturare e cibarsi non solo di insetti, ma anche di piccoli animali come rane e topolini…
Per Charles Darwin sono sempre state uno spunto interessante e oggetto di innumerevoli esperimenti.

Quelle piante sono carnivore perché nell'ambiente di cui sono originarie manca l'azoto, che estraggono dalle loro prede sciolte con il loro acidi.

Gli scienziati hanno scoperto che lo stimolo alla chiusura arriva per via elettrica. Il peletto stimola un impulso che va a caricare una specie di “condensatore”, perdonatemi il paragone. Questo si scarica lentamente in venti secondi, ma se nel frattempo arriva un altro impulso (il secondo peletto), riprende la carica, supera così una soglia e scatta la trappola mortale.

Oltre alla simpatica pianta carnivora, ci sono i ben più comuni viticci. Questi crescono girando nel vuoto, fino a quando non tocccano un rametto (ma anche un dito umano che li strofina) a quel punto si arricciano aggrappandosi tenacemente.


Una cosa sorprendente è che se lo si strofina al buio, questo non si arriccia, ma appena fa giorno, anche ore dopo, si ricorda dello stimolo e comincia  formare il ricciolo.


Le piante indubiamente usano il tatto per sapere quando e come crescere. Gli alberi che crescono sui crinali, come ben sappiamo quando andiamo in montagna, crescono più bassi, tozzi e grossi. Questa crescita anomala è senz’altro stimolata dal vento che induce la pianta a cambiare forma, altrimenti perderebbe rami e tronco.

Al prossimo post per scoprire altro sulle nostre vicine!

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venerdì 27 dicembre 2013

Scomparsi sull'Everest - Peter Firstbrook

Il mistero della spedizione Mallory-Irvine


Un pomeriggio di metà Ottocento in India, un topografo, rimasto anonimo, salta giù dalla sedia per l'emozione. Dopo ore di lunghi calcoli trigonometrici ha completato la stima dell'altezza di una montagna conosciuta come Picco B.
Era la più alta del mondo.

Da allora si è cercato in tutti i modi di raggiungere l'Everest, ma ci sono voluti 100 anni prima che Edmund Hillary e di Tenzing Norgay ci riuscissero.

Peter Firstbrook ci racconta egregiamente la storia della conquista ed in particolare il tentativo dell'allora famoso alpinista George Mallory eroe nazionale inglese, insieme con il più giovane Andrew Irivine, vent'anni prima della conquista definitiva.


I due non sono mai tornati. Avranno raggiunto la cima o no?
Questo libro, basato su una spedizione del 1999, organizzata dalla BBC, cerca di fare luce su questo mistero.
"Scomparsi sull'Everest" - Peter Firstbrook - BBC NET

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lunedì 23 dicembre 2013

sabato 21 dicembre 2013

Aria Sottile - Jon Krakauer

Se l’Himalaya è il tetto del Mondo, questo libro ci racconta della soffitta.

Aria Sottile - Jon Krakauer

Cosa c’è nel brulicante mondo degli alpinisti che cercano di raggiungere la cima più ambita?
Jon Krakauer, giornalista e alpinista, viene mandato a studiare il fenomeno del “turismo” himalayano. Partecipa ad una spedizione che, malauguratamente, finisce in tragedia. Con grande maestria ci fa rivivere tutte le fasi preparatorie, in un crescendo di emozioni ci accompagna fino alla vetta e poi ci mostra l’abisso in cui precipita la vicenda.

Un libro meravigliosamente scritto. Da leggere e rileggere

Aria Sottile - Jon Krakauer - Il Corbaccio


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Le piante annusano?

Continuiamo a verificare i sensi delle piante

Ora tocca all’olfatto


A chi non è capitato di inebriarsi del profumo dei tigli o dei gelsomini in estate? O di aver ficcato il naso tra i vellutati petali di rosa? Chi non riconosce il profumo di menta?

Indubbiamente le piante emettono moltissimi profumi, ma sono anche capaci di sentirli?

Il gelsomino nella sua "odorosa" fioritura

La risposta è si.

E ci sono diversi casi.

Quando un frutto sta per maturare comincia ad emettere un gas, l’etilene, che stimola gli altri frutti a maturare. Più è maturo il frutto più etilene emette, e più etilene gira attorno ad un frutto più questo matura.
Per questo motivo per far maturare i kiwi o una banana, basta chiuderli in un sacchetto con delle mele.
Ecco perché una sola mela marcia (che emette tanto etilene) fa guastare l’intero cesto!

Per sapere qualcosa in più sulle mele c'è questo post, per le banane quest'altro

Un'altra prova ce la fornisce l’esempio della Cuscuta Pentagona.

La Cuscuta con le mani nel sacco

Questa pianta è un parassita. Appena germoglia va alla caccia di una pianta in cui infilarsi per succhiarle la linfa con i prodotti nutrienti.
La Cuscuta ama parassitare le piante di pomodoro. Appena ne sente l’odore si dirige a capofitto verso la pianta. Anche se al posto della pianta si trova un batuffolo ci cotone impregnato di profumo di pomodoro, la pianta parassita vi si lancia a testa bassa.
Non si può dire lo stesso per la pianta di grano. Alla Cuscuta proprio non piace e appena l’avverte scappa dalla parte opposta!

Un altro sorprendente uso dell’olfatto è la difesa di una pianta da attacchi esterni.

Foglia mordicchiata
Quando le foglie sono morse da un parassita, da un erbivoro o assaltate da batteri, la pianta emette delle particelle di gas (metil qualcosa), questo svolazza fino a raggiungere le altre foglie, che cominciano a produrre una tossina che dovrebbe far desistere gli erbivori dal mangiare quelle foglie.
Se ci sono piante nelle vicinanze, anche queste riescono ad “annusare” l’aria e mettersi sulla difensiva, bloccando il consumo di foglie da parte di erbivori.

Dal momento che produrre tale tossina ha per la pianta un certo costo energetico, le piante lo producono solo se proprio necessario.
Uno di questi gas prodotto quando l’attacco alla pianta è di tipo batterico, è il metil salicilato che è molto simile all’acido salicilico, precursore chimico dell’aspirina. Le piante avvertono l’attacco, producono un gas che assorbito (=annusato) dalle foglie stimola la generazione di un antipiretico e antidolorifico che proprio come per noi aiuta a difendersi dai batteri.

Quando strappiamo con noncuranza una foglia, ricordiamoci che è per la pianta un piccolo trauma fa stimolare la pianta a mettersi sulla difensiva, producendo un gas che avvisa il resto della pianta e le vicine di produrre tossine per un pericolo imminente!

I recettori dell’olfatto dell’uomo (molti più delle piante, ma molto meno di alcuni animali) fanno arrivare al cervello gli stimoli odorosi e gli fanno prendere coscientemente delle decisioni o avvertire sensazioni e ricordi.
Alle piante manca un cervello che elabori questi stimoli.
Ma a ben vedere anche nell’uomo ci sono dei meccanismi che attraverso gli odori (feromoni) e senza passare apparentemente per il cervello, lo fanno reagire incoscientemente, come per una pianta!

Al prossimo post per scoprire altro sulle nostre vicine!

Riferimenti:


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mercoledì 18 dicembre 2013

La biodiversità. Ma ci serve? 2a parte: la banana

Continuiamo con alcune considerazioni sulla biodiversità.

Le prime considerazioni le trovate qui: Biodiversità 1.

Dicevamo che una delle compagne più fedeli delle nostre gite è la banana.
Facile da portare, da sbucciare e dall'ottimo sapore.

A differenza della mela vista nel post  precedente, la banana ha una storia di successo globale più recente, ma non per questo meno impattante.
La pianta di banano è tecnicamente una erba, molto grande, ma non ha un fusto legnoso. Originaria dell’India e Indonesia si è diffusa con successo in Africa. In queste realtà è molto prodotta e molto consumata. Dopo Colombo è arrivata in America dove è rimasta confinata in qualche isoletta dei Caraibi per qualche secolo.


Solo nell’Ottocento negli Stati Uniti si sono introdotte delle innovazioni tecniche (la refrigerazione) per portare le banane dalla Giamaica a New York.
In breve è stato creato un complesso sistema di trasporti via mare, treno e magazzini, tutto nella catena del freddo, che distribuiva le banane in tutti gli USA. Nel volgere di pochi anni, complice le tecniche di marketing, l’economia di scala, la banana è diventata più venduta e più economica di mele prodotte dietro casa.

E’ diventata così remunerativa che le compagnie bananiere sono sempre state potentissime, tanto da influenzare i governi centro-americani (Honduras, Guatemala, Colombia…) fomentando colpi di stato e mantenendo governi fantoccio.



Anche in Italia c’è una piccola storia di banane da raccontare.
Una volta conquistata la Somalia (si fa per dire, visto che si trattava di una sanguinosa occupazione armata, con ribelli mai domi) il governo ha pensato di avviare nel Corno d’Africa l’industria bananiera.
Il consumo italiano di banane era allora praticamente zero, ma con l’introduzione delle prime tecniche di marketing si sono convinti milioni di italiani a desiderare il frutto curvo.

La Regia Azienda Monopolio Banane
Purtroppo le banane somale piantate dagli italiani non erano un granché, il trasporto carissimo. L’industria, in perfetto stile italiano, non era redditizia se non per i forti incentivi che riceveva. Ragion per cui dopo pochi anni e molti soldi sprecati, è stata abbandonata appena fu chiuso per noi il canale di Suez.

Se vi siete chiesti come mai oggi la banana ha sempre lo stesso ottimo sapore ovunque la compriamo, è perché mangiamo sempre la stessa banana: si tratta di un clone che viene ripiantato in continuazione.

Come già visto per le mele, prima o poi i nodi arrivano al pettine e la banana ne fa le spese.
Il primo frutto selezionato per il mercato è stata la Gros Michel, la possiamo vedere nei filmati di Stanlio e Ollio e di Charlie Chaplin. E praticamente solo là.
Oggi infatti si è estinta. Non esiste più.

Salutiamo la Gros Michel
E’ stata la Malattia di Panama, un fungo, che l’ha devastata. Senza che i coltivatori potessero fare molto. Si limitavano a comprare terreni nuovi e piantare in zone nuove. Ma la malattia si trasmetteva e prima o poi arrivava.

Oggi la varietà che si trova in commercio è la Cavendish, con molti sforzi è stata selezionata come erede della Gros Michel. Doveva avere un sapore gradevole, dolce, facile da pelarsi e resistente al trasporto.

La Cavendish non era proprio il massimo di resistenza al trasporto, ma l’uovo di Colombo fu l’utilizzo delle scatole di cartone! In questo modo arrivano buone e non in poltiglia.

(Le scatole sono molto resistenti, se ci fate caso le usato tutti gli ambulanti per qualunque prodotto) 

Col tempo si è scoperto che anche la Cavendish non è immune dalla Malattia di Panama, ed è sensibile anche alla più temibile Sigatoka, per cui giù con piogge di pesticidi.
Oggi è in pericolo di estinzione anche la Cavendish.

Anche in questo caso invece di assecondare la natura e lasciare che gli incroci naturali controbattano agli armamenti dei parassiti, si ricorre alla guerra con i pesticidi, che non porterà da nessuna parte, se non ad un avvelenamento collettivo.

Che fare? La prossima volta che vediamo una bella banana gialla in vendita, pensiamoci su.

2. Continua

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domenica 15 dicembre 2013

La Biodiversità. Ma ci serve?


Spesso se ne sente parlare. Viene nominata e considerata come una fondamentale necessità o qualcosa da salvaguardare prima che sia troppo tardi.

Ma è una moda passeggera, tipo le diete “rivoluzionarie” che ogni anno si affacciano promettenti miracoli?
O piuttosto è come una tendenza anti conformista (oggi si direbbe contro il  mainstream) di chi vuol essere originale e "diverso" ad ogni costo?

Cerchiamo di farci una idea.


Chi non ha mai messo nello zaino per una escursione una mela o una banana? Ma da dove arriva questa frutta e che cosa ha a che fare con la biodiversità?

La mela ha il suo “centro di biodiversità” nel Kazakistan (quello di Borat), in Asia Centrale. Proprio da li vengono i primi meli selvatici del mondo, probabilmente.


Sono riuscite a colonizzare piano piano tutto il mondo e sono comuni ovunque, in molte varietà, anche mele aspre “da far serrare i denti a uno scoiattolo”.
Per esempio, negli Stati Uniti orientali la vite non riusciva a produrre uva, e nel Sette-Ottocento si sopperiva al bisogno con delle mele (anche le più amare) dalla quali si ricava il sidro, dotato di un certo tenore di alcol.

Le mele, come molta altra frutta, hanno una caratteristica particolare: se si pianta un seme di una mela bella succosa e zuccherina, l’albero che verrà fuori produrrà delle mele che non avranno nulla o quasi a che spartire con quella originaria!
Ma proprio diversa, al limite immangiabile…
Quindi morto l’albero sarebbe morta anche la bella mela.

Da millenni ormai l’uomo ovvia a questo con la tecnica dell’innesto. Sostanzialmente stacca un ramo del melo di suo gusto e lo impianta in un melo dal frutto sgradito. In questo modo si perpetua l’albero per un po’. Furono i Cinesi a scoprirlo e l’innovazione è arrivata anche ai Romani.



Se da un lato questo ci favorisce, dall’altro ci è scappata la mano. Nel tentativo di standardizzare dimensioni e sapore delle mele, se ne è fatta una produzione industrializzata, priva di diversità, delle monospecie. Con le tecniche di marketing si invogliano le persone a comprare e cercare sempre lo stesso tipo di sapore.

Solo che la natura fa il suo corso: parassiti, funghi e batteri si accoppiano, moltiplicano e differenziano molto rapidamente, e prima o poi attaccheranno il melo che tanto piace, sterminandolo.
Il contadino interviene, ormai, non più rimpiazzando le piante con un melo resistente, ma per non perdere il feeling con i clienti, inonda le piante di pesticidi.
E gli alberi da frutta sono tra le piante più (mal)trattate al mondo.

Ma i batteri, nella loro lotta alla sopravvivenza si attrezzano e prima o poi selezioneranno individui immuni anche al più spietato dei veleni.
E così prosegue l’escalation tra pesticidi e appestanti.

Questa continua lotta, che per milioni di anni è stata gestita in autonomia dalla natura ed è stato il motore dei cambiamenti, vede ora un Don Chisciotte che cerca di opporsi, senza speranza alcuna di vittoria, affannandosi a cercare prodotti sempre più letali per difendere l'indifendibile. E invece riuscire solo ad avvelenare se stesso.

Inutile dare la colpa alle multinazionali e dipingerli come il diavolo.
In verità siamo noi a dover imparare a scegliere solo frutta da coltivazione biologica, o del contadino vicino casa, abituarsi a sapori che cambiano e non aspettarsi dalla mela lo stesso rassicurante sapore.

1. Continua....

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mercoledì 11 dicembre 2013

Le piante riescono a vedere?


Non vi preoccupate, non è una delle domande del test al servizio militare (“A volte la tua anima lascia il tuo corpo?”) ma ci chiediamo se in qualche maniera le piante posseggano una vista.

A tutti noi è noto che le piante vivono e prosperano alla luce. Con la fotosintesi, infatti, trasformano anidride carbonica e acqua in carboidrati e zuccheri sfruttando i raggi solari.
Ma a quale luce sono sensibili e in che modo?


Già Darwin si era posto la domanda e, ponendo delle piantine in una stanza buia, illuminata solo da una tenue fiammella in un angolo, aveva scoperto che le piante si piegano sempre verso la sorgente di luce. E la parte della pianta sensibile alla luce è la punta. E solo la punta. Questa guida e pilota la crescita della pianta nella direzione della luce. Il fenomeno si chiama fototropismo.



Successivamente si è scoperto che le piante distinguono i colori.
Solo la luce blu è quella che le fa cambiare la direzione di crescita, mentre la luce rossa (ed il rosso lontano, quello del tramonto) regolano altri importanti fenomeni per i vegetali.

La luce rossa, in particolare, viene usata dalla pianta per capire la durata del giorno e della notte e quindi decidere se fiorire o meno.
Lo sanno molto bene i fiorai. Il crisantemo, per esempio, fiorisce in autunno e va bene per la ricorrenza dei morti, ma in paesi come il Giappone è un fiore che si usa a maggio, per la festa della mamma.
E come fanno a posticipare di 6 mesi la fioritura?



Le piante misurano la stagione dell’anno contando in qualche maniera le ore di buio continuative.
In autunno le notti si allungano, ed il crisantemo fiorisce.
Se però il fioraio “sveglia” le piante nel cuore della notte, illuminando, anche brevemente, con luce rossa, riesce a ingannare la pianta e farle credere di essere ancora in estate.
Quando ha deciso di far fiorire i suoi crisantemi, lascia che la notte sia lunga a sufficienza.

Le piante che si trovano in basso nel sottobosco, sotto una folta chioma di foglie delle piante più alte, ricevono una luce di tipo rosso lontano (le foglie assorbono il resto dei colori). Questa luce stimola la pianta a crescere ed allungarsi fino ad arrivare con il fusto alla luce piena.



Le piante posseggono così una quindicina di sensori diversi alla luce, ciascuno con uno scopo preciso.

Ma tutto ciò vuol dire che le piante vedono come noi?

Certo che no, non sono in grado si riconoscerci al ritorno a casa la sera e scodinzolare, ma sono senza dubbio capaci di percepire lo stimolo della luce e reagire di conseguenza, allungandosi, fiorendo, germogliando etc.

Al ricevere questi stimoli (senza che ci sia un cervello che decida), su molte parti della pianta, vengono attivati o inibiti dei recettori, che attivano o inibiscono la produzione di certi enzimi o proteine che stimolano o deprimono la crescita o altri fenomeni.

Al prossimo post per scoprire altro sulle nostre vicine!

Riferimenti: 
  • Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale” Mancuso Stefano; Viola Alessandra - Giunti
  • Quello che una pianta sa. Guida ai sensi nel mondo vegetale”, Daniel Chamovitz - Cortina Raffaello Editore
  • Video Lezioni Coursera 
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sabato 7 dicembre 2013

Breve storia di come sono andate le cose sulla Terra


Se un astronomo osservasse un lontano pianeta dotato di forme di vita e riuscisse a stimare che il 95% di esse fossero di un certo tipo, dedurrebbe senz'altro che quella è la sua forma di vita dominante.

Bene. A questo punto avrete già cominciato a sospettare che sulla nostra cara Terra, più del 95% delle creature vive che la abitano sono piante. Il resto, una quota minoritaria, sono Animali. L'Uomo è solo una percentuale risibile.
Eppure il nostro egocentrismo ci ha sempre spinto a metterci al vertice del podio, relegando i vegetali al gradino appena sopra i minerali ma decisamente sotto gli animali.
Gli animali (uomo compreso) dipendono dalle piante, anche quelli carnivori puri mangiano in effetti altri animali che a loro volta sono erbivori. Se sparissero le piante dalla terra, questi animali si estinguerebbero immediatamente.

Se sparissero invece gli animali, moltissime piante potrebbero sopravvivere senza problemi, anzi...

Ma come siamo arrivati a questa situazione?


Il nostro pianeta si è formato circa 4,6 miliardi di anni fa. Era una palla di materiale vario, con acqua in superficie e con una atmosfera piena zeppa di anidride carbonica, un gas serra, che ha mantenuto caldo il pianeta.
Presto, dopo circa 500 milioni di anni, proprio nell'acqua si sono sviluppate le prime forme di vita.

E come?

C'è chi dice da fulmini scoccati in aria satura di ammoniaca (forse ispirandosi a Frankenstain che prende vita con una scossa elettrica), c'è chi dice altro, ma nessuno lo conosce veramente.

Le prime forme di vita, questo si sa per certo, sguazzavano in mare alla ricerca di cibo, si riproducevano, morivano. Solite cose insomma. Un paio di miliardi di anni dopo, cioè 2,5 miliardi di anni fa,  sono nate le prime forme di vita Autotrofe, cioè in grado di prodursi da soli il cibo. Delle proto-piante che producevano zuccheri e, tra l'altro, iniettavano nella atmosfera ossigeno.
Un miliardo e mezzo di anni fa, sono comparsi i primi organismi eucarioti, cioè con un nucleo interno come le nostre cellule.
Un miliardo di anni fa compaiono le prime forme di vita multicellulari.

Tutti abitavano in mare, perché la terra era invivibile a causa delle radiazioni solari non schermate.
Le prime piante in mare hanno continuato a pompare instancabili ossigeno come scarto della fotosintesi, fino a riempire l’atmosfera di ossigeno e di ozono. 
Sì, proprio quell’ozono che ci protegge dalle radiazioni solari e che ci stiamo accanendo a bucare.

Il passo seguente, 500 milioni di anni fa, quando finalmente le terre emerse sono diventate vivibili grazie allo scudo di ozono, è stato per alcune piante e animali lasciare l'acqua e colonizzare la terra ferma. Per inciso alcuni animali come le balene, sono tornate in acqua, forse deluse e stanche della vita a terra. Le piante hanno scelto una vita sedentaria, ancorandosi al terreno potevano risolvere il problema di approvvigionarsi d’acqua con le loro radici.

Il livello di anidride carbonica è andato così via via abbassandosi e l’ossigeno alzandosi. Grazie alle piante ed al loro incessante lavorio di fotosintesi.

Successivamente, a causa di vari cataclismi apocalittici che si sono succeduti, si è passati per vari stadi, tra cui quello in cui si trovava un mondo verdissimo, con piante giganti e senza fiori, con scorazzanti dinosauri ed altri animali mastodontici, ad un mondo molto diverso, con molte piante più piccole e fiorite (angiosperme), che si riproducono per impollinazione animale, e con animali di taglia decisamente più contenuta. L'uomo è arrivato solo 200 mila anni fa, a "tavola già apparecchiata".

Ad ogni modo le vite di piante e animali hanno sempre vissuto fortemente intrecciate. Teniamone sempre conto nella vita di tutti i giorni e nelle nostre escursioni in montagna. Guardiamo con occhio diverso le piante che ci stanno intorno e che hanno permesso e permettono di rimanere ancora qua.

Riferimenti: 
  • Verde brillante. Sensibilità e intelligenza del mondo vegetale” Mancuso Stefano; Viola Alessandra - Giunti
  • Quello che una pianta sa. Guida ai sensi nel mondo vegetale”, Daniel Chamovitz - Cortina Raffaello Editore
  • Video Lezioni Coursera 
Se avete commenti e osservazioni sentitevi liberi di scrivere nei commenti quello che volete.

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Nei prossimi post cominceremo a vedere più da vicino i sensi delle piante.

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venerdì 6 dicembre 2013

“Una passeggiata nei boschi” - Bill Bryson



Una passeggiata nei boschiIl giornalista Bill Bryson è un grande narratore, la sua scrittura è sempre molto ironica e interessante. Anche in questa sua opera outdoor.

L’oggetto del libro è l'Appalacchian Trail, una lunghissima pista da trekking che corre dalla Georgia fino quasi al Canada per più di 4 mila chilometri, istituita negli anni Venti ed è ancora oggi meta di migliaia di escursionisti.
Bryson ce ne racconta la storia e le singolarità, mentre descrive la sua personale e a dir poco incosciente traversata con l’impacciato compagno Stephen.

Fa venire una gran voglia di raccattare scarpe e zaino e lanciarsi all’avventura, anche nelle montagne vicino casa.



"Una passeggiata nei boschi" - Bill Bryson - Tea

martedì 3 dicembre 2013

E se diventassimo come una pianta?

Facciamo un piccolo esperimento.

Ci sediamo comodi sul divano, con i piedi ben piantati sul pavimento. Schiena appoggiata per bene. Chiudiamo gli occhi e respiriamo con calma.

Immaginiamo che da quella posizione non possiamo muoverci più.
Proprio come se fossimo delle piante.


Pensiamo per un attimo a come sarebbe la nostra vita.



Ci avete pensato?


Come procurarsi da mangiare?
Come da bere?
Come andare in bagno?
Che fare se si sente caldo o si sente freddo?
E se ci si ammala?
Come riprodursi?


Ecco, a tutte queste domande una pianta deve rispondere se vuole sopravvivere.


Con alcuni dei post di questo blog cerchiamo di osservare con occhio nuovo le piante che ci circondano nelle nostre escursioni.



Fonti: Chamovitz Daniel, Quel che una pianta sa - Guida ai sensi nel mondo vegetale, 2013, Raffaello Cortina Editore

giovedì 28 novembre 2013

Il mondo delle piante

Una sezione dedicata a queste creature, poste in basso dall'uomo, nella scala evolutiva, ma che sono fondamentali per la vita su questo pianeta.


Letture consigliate:

  • Daniel Chamovitz "Quel che una pianta sa"
  • Mancuso, Viola  "Verde brillante"

Primo assaggio di neve

Domenica 24 siamo andati ad assaggiare la prima neve dopo mesi di astinenza.


Giretto dal Valico della Chiesuola (presso Campo Felice) fino al Valico del Morretano.
Abbiamo trovato neve fresca, accumulata nel fondo valle (un po' meno sui pendii più ripidi), e posata sui rami dei faggi sorpresi ancora con le faggiole sui rami. Meravigliosi i ricami della neve sui rametti


E giunti in cima si è anche schiarito il cielo


Presto, organizzeremo una uscita collettiva con il gruppo di sci escursionisti e di ciaspolatori.